Careggi in Musica
Domenica 23 novembre ore 10.30
AULA MAGNA DEL NIC
FLAUTANDO
Alessio Bacci flauto
Giovanni Del Vecchio pianoforte
Bartòk – Arma Suite paysanne hongroise (da 15 canti popolari ungheresi) per flauto e pianoforte
– Chants populaires tristes: n.1, n.2, n.3, n.4 – Scherzo – Vieilles danses: n.1, n.2, n.3, n.4, n.5, n.6, n.7, n.8, n.9
B. Bartòk Sei danze in ritmi bulgari per pianoforte
G. Gershwin Tre preludi per pianoforte
– Allegro ben ritmato e deciso – Andante con moto e poco rubato – Allegro ben ritmato e deciso
Gershwin-Warnick Fantasia su temidi Porgy and Bess per flauto e pianoforte
A. Piazzolla Tango-Blues per flauto e pianoforte
Preludio 1953 per pianoforte
Vayamos al Diablo per flauto e pianoforte
Ave Maria per flauto e pianoforte
Libertango per flauto e pianoforte
Oblivion per flauto e pianoforte
Fantasia in Re per flauto e pianoforte
Molteplici e diversi legami uniscono gli autori ed i brani presenti nel programma. Il più evidente è il “debito” che Bartok, Gershwin e Piazzolla devono alla tradizione musicale popolare del proprio paese di origine: l’Ungheria e tutta l’area limitrofa per Bartòk, l’America per Gershwin e l’Argentina per Piazzolla. Per ciascuno di loro infatti la musica popolare è stato il punto di partenza – tra l’altro esplicitamente dichiarato – per la maggior parte o comunque per molti dei propri lavori più importanti. Ma anche altre e più sottili trame possono collegare tra loro i brani proposti: ad esempio il jazz, che è la materia prima della musica di Gershwin, influenza molto sia il linguaggio (soprattutto armonico, ma anche certi aspetti ritmici) delle danze bulgare di Bartok, sia tutta la produzione di Piazzolla. E, ancora, il ritmo: elemento più che essenziale per tutti e tre i compositori. Ed infine, ancora, il gusto e la propensione per la melodia, sia essa inventata o ripresa direttamente dalla tradizione popolare, come nel caso della Suite di Bartòk che apre la serata. Ma veniamo a vedere un po’ più da vicino i brani del programma.
La Suite paysanne hongroise è la rielaborazione per flauto e pianoforte del pianista francese Paul Arma, dei 15 canti contadini ungheresi di Bèla Bartòk scritti originariamente per pianoforte; Arma era di origine ungherese ed è stato allievo di Bartòk. La suite risale al 1920 ed è suddivisa in due macro-sezioni separate da uno scherzo; ognuno dei brani che la compone (compreso lo scherzo) consiste in una melodia popolare armonizzata e/o variata, senza alcun accenno di sviluppo: ne risulta una successione quanto mai varia – seppur nella sua relativa brevità – di atmosfere cangianti, dal sognante al mesto, dal capriccioso al brillante, dal giocoso al sentimentale, con effetto immediatamente comunicativo e grandemente espressivo.
La forza comunicativa delle Sei danze in ritmi bulgari sta invece principalmente nel ritmo: Bartòk pose questi sei brevi pezzi a conclusione del suo poderoso lavoro didattico dedicato al pianoforte intitolato Mikrocosmos, quasi una summa di varie difficoltà tecnico-pianistiche elaborate gradatamente nei 147 precedenti brani (l’opera è suddivisa in 6 volumi e affronta con spirito poetico tutti i problemi che uno studente pianista può incontrare nella propria formazione strumentale). Appunto alla fine del percorso Bartòk impone all’esecutore vari e compositi ostacoli tecnici da superare (cosa che poco interessa all’ascoltatore) ma lo fa creando dei veri gioielli musicali, questi sì interessanti per chi ascolta: su di una base di ritmi “bulgari” (la cui caratteristica è quella di mescolare ed alternare nella stessa battuta metri binari e ternari, creando un tessuto instabile ma molto vario) si sente emergere spesso una trama melodica ed il tutto non di rado, grazie anche ad armonie che spesso utilizzano “blue notes” (talora mascherate, talvolta invece chiaramente esplicite) rievoca i territori sonori del jazz. Non bisogna dimenticare che Bartòk ultimò questa sua fatica didattica nel 1940, proprio mentre si trovava negli Stati Uniti.
Il jazz, con i suoi ritmi sincopati e le sue armonie peculiari era invece il pane quotidiano di George Gershwin, che lo profonde a piene mani in questi suoi Tre Preludi per pianoforte, risalenti al 1936: grandissimo pianista, Gershwin sa sfruttare appieno tutte le risorse dello strumento sia in senso ritmico-percussivo (come del resto sapeva ben fare anche Bartòk) che sotto il profilo della cantabilità. Incastonata tra due brani brevi e fortemente ritmati (il primo ed il terzo preludio, ciascuno basato però su di una cellula tematica breve ma incisivamente melodica) sta la gemma dello struggente “blues” centrale, in do# minore, armonicamente ricco e fortemente intriso di intrinseca polifonia, che contiene a sua volta un episodio centrale in fa# maggiore il cui tema è affidato alla mano sinistra. E’ curioso altresì notare (tanto per infittire la ragnatela che collega i tre autori del presente programma) come il tipico ritmo pseudo-ternario su cui è basato tutto il primo preludio (tre accenti in quattro tempi, sul primo, a metà tra secondo e terzo e sul quarto) sia lo stesso che informa praticamente tutti i tanghi di Piazzolla nonché l’ultima delle 6 danze bulgare di Bartòk!
Porgy and Bess fu, tra le altre cose, un omaggio che Gershwin volle fare allo spiritual ed a tutta la tradizione musicale dei neri d’America: oltre alla trama dell’opera, anche l’essenza musicale di molti dei temi in essa contenuti risulta fortemente intrisa di quegli stati d’animo. La breve suite stasera in programma propone le melodie più famose del lavoro lirico “cucite” con mano leggera dall’arrangiatore Clay Warnick.
Astor Piazzolla ha molti tratti in comune con Gershwin: oltre a quanto già accennato sopra è da segnalare l’estrema serietà dei rispettivi studi musicali che per entrambi culminarono (seppure in decenni tra loro lontani) nell’approdo a Parigi alla scuola di quella celeberrima e grandissima didatta che fu la longeva Nadia Boulanger. Sia Gershwin che Piazzolla, nonostante l’enorme talento musicale, la grandissima perizia strumentale (al pianoforte l’uno, l’altro al bandoneon) e la fecondità dell’invenzione, sentivano il bisogno di ampliare e strutturare le proprie conoscenze sotto il profilo compositivo e la traccia che la Boulanger lasciò maggiormente in entrambi fu il gusto per il timbro e la capacità di strumentare. E’ anche celebre la frase che la Boulanger rivolse al compositore argentino dopo essere riuscita ad ascoltare da lui un tango, vincendo la sua vergogna e le sue enormi resistenze: Astor, questo è bellissimo, mi piace tanto, qui c’è il vero Piazzolla, non lo lasci mai! Ed infatti il successo – anche commerciale – della sua produzione è stato enorme, incalcolabile ed indescrivibile, talmente grande da mettere però in ombra certi suoi aspetti particolarmente interessanti e “sperimentali” dal punto di vista compositivo: l’esempio più rilevante di ciò è il breve Preludio 1953, una composizione per pianoforte solo dove Piazzolla dimostra di ben conoscere Berg (l’inizio del brano sembra quasi una citazione dell’incipit della sua Sonata) ed Hindemith (le armonie concepite essenzialmente come sovrapposizioni di intervalli di quarta): ne risulta un brano dalla sonorità molto moderna e densa, all’interno del quale però, prepotentemente, emerge (esattamente nella parte centrale) un tema dal profilo melodico, ritmico ed armonico peculiarmente ed inequivocabilmente piazzolliano. Tutti gli altri lavori di Piazzolla presenti nel programma fanno invece parte del suo repertorio più “popolare”, e recano con sé appunto quella caratteristica nota di dolore nostalgico o di fuoco appassionato che tutti riconoscono al tango argentino, che Piazzolla ha così ben saputo rinnovare, sviluppare, nobilitare e rendere personale: in Tango Blues, Ave Maria, Libertango ed Oblivion è la vena melodica a farla da padrone, e le realizzazioni per flauto e pianoforte sono particolarmente adatte a metterla in evidenza. Una parola a parte meritano però sia Vayamos al Diablo che la Fantasia in Re. Nella sua estrema brevità Andiamocene al Diavolo sembra essere proprio un’imprecazione musicale e lascia sconcertati il sottotitolo di tango che Piazzolla scrive in partitura: infatti nulla in questo pezzo, se non forse il fuoco sacro che sembra animarlo, ricorda il tango, né il ritmo (un insolito ed “infernale” 7/8 che ricorda più il Bartòk “bulgaro” che l’Argentina), né l’andamento assai veloce e concitato (non un attimo di respiro dalla prima all’ultima nota), né il ricorso al contrappunto nel telegrafico episodio centrale, dove flauto, mano sinistra e mano destra ripetono ciascuno un proprio ostinato. La Fantasia in Re è invece brano di più ampio respiro: concepito originariamente per flauto ed orchestra d’archi, si articola in diverse sezioni, concatenate tra loro senza soluzione di continuità, ed anche la versione per flauto e pianoforte riesce a mettere in evidenza le sue proprietà melodiche e ritmiche con un ulteriore caratteristica: il ricorso al contrappunto ed in particolare alla forma della fuga. Infatti dopo alcune battute di introduzione, ecco profilarsi un vero e proprio tema di fuga – seppur tipicamente piazzolliano – con tanto di controsoggetto, che viene ripreso dal flauto (dopo le canoniche 4 “entrate”) per essere sviluppato autonomamente salvo poi interrompersi bruscamente per dar luogo ad un’ampia sezione centrale dal carattere prima di improvvisazione e poi di tema vero e proprio, molto espressivo, cui segue una ripresa nuovamente fugata in cui il tema principale si alterna più volte con altri spunti melodici per scaturire in una coda veemente ed appassionata: insomma la dimostrazione da parte dell’autore argentino di saper adoperare anche forme più ampie senza rinunciare alle proprie peculiarità stilistiche.
Giovanni Del Vecchio
Alessio Bacci. Diplomatosi all’Istituto “Boccherini” di Lucca si è perfezionato all’Accademia Musicale Chigiana con Gazzelloni e Meunier (Diploma ad honorem 1980); Dal 1979 fa parte del Gruppo di Musica contemporanea “Bruno Maderna” col quale ha tenuto concerti per le più prestigiose associazioni musicali e festivals in Italia e all’estero (GAMO di Firenze, “Demetra” di Salonicco, rassegna RAI di Spotorno, NuovaMusica di Tirana, incisioni per la radio austriaca ad Innsbruck, Neue Musik di Wiesbaden, Amici di Castel Sant’Angelo a Roma, Festival dei due mondi a Città di Castello ecc.). Ha effettuato molte prime esecuzioni assolute fra le quali composizioni di Sciarrino, Gentilucci, Ferrero, Morricone, Mannino. E’ stato primo flauto e ottavino in molte orchestre della toscana e suona in varie formazioni cameristiche. Ha tenuto masterclass all’università di Dortmund ed è stato professore ospite al Conservatorio di Sidney e di Saõ Paulo e Istanbul; è stato direttore della rivista di musicologia Tetraktys e attualmente si occupa dell’apparato critico del progetto “TESORI MUSICALI TOSCANI” per la diffusione dei musicisti toscani del ‘700. Insegna al Conservatorio della Spezia.
Giovanni Del Vecchio si è diplomato in pianoforte diciottenne col massimo dei voti e la lode presso l’Istituto “Boccherini” di Lucca sotto la guida di Rossana Bottai. Si è quindi perfezionato seguendo numerosi corsi di musica da camera presso la Scuola di musica di Fiesole con Dario De Rosa, Maureen Jones, Amedeo Baldovino e Renato Zanettovich; ha studiato Composizione con Gaetano Giani Luporini. Nel 1978 ha vinto il Concorso “Pietro Napoli” di Livorno (Presidente di giuria Carlo Zecchi), nel 1983 è stato finalista (terzo classificato) al Concorso “Cata Monti” di Trieste ed al Concorso “Arcangelo Speranza” di Taranto. Si è esibito sia in qualità di solista che in formazioni cameristiche nelle principali città italiane e presso l’Università di Dortmund negli anni ’80 e ’90. Si è dedicato intensamente all’attività didattica vincendo i concorsi per l’insegnamento nelle scuole e nei Conservatori. Ha insegnato al Conservatorio “Marcello” di Venezia e dal 2005 è titolare della cattedra di Lettura della Partitura presso il Conservatorio “Cherubini” di Firenze. E’ stato maestro del coro in produzioni operistiche ed è stato pianista e maestro del coro nella prima esecuzione italiana (seconda mondiale) dell’oratorio profano “El Pueblo joven” di Astor Piazzolla nell’ottobre 2009. Ha pubblicato trascrizioni ed adattamenti corali e strumentali oltre ad articoli di analisi su riviste specializzate ed è stato membro di giuria in concorsi pianistici. E’ direttore di coro e d’orchestra ed ha collaborato come docente col Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze.
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